Intervista di Giovanna Pasqualin Traversa tratta da SIR – Agenzia d’informazione

Nel dicembre 2018 la Croce rossa italiana ha lanciato la campagna #NonSonoUnBersaglio, per denunciare le aggressioni ai soccorritori, ed ha avviato un Osservatorio per raccogliere le denunce dei suoi volontari. Su questo l’Agenzia d’informazione ha intervistato il Presidente Nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca.

Presidente, quali misure di contrasto sarebbero realmente efficaci?

Non si tratta soltanto di reprimere. Sarebbe un errore non interrogarci sul perché di questo crescendo di violenza che non riguarda solo ambulanze, pronto soccorso e guardie mediche, ma colpisce l’intera società. E’ come se saltassero i punti di riferimento che costituiscono la base del tessuto sociale. Ben vengano la videosorveglianza e l’inasprimento delle pene per gli aggressori, ma serve soprattutto un lavoro di educazione, un’azione culturale di recupero dei nostri valori di convivenza civile. 

Aggressività e violenza sembrano ormai una costante diffusa a tutti i livelli nella società…
Sì, e l’imbarbarimento del linguaggio cui assistiamo non può non avere conseguenze. Occorre una riflessione sulla responsabilità – a partire da chi ricopre ruoli istituzionali – di impiegare un linguaggio appropriato perché l’attuale può portare chi ha meno strumenti critici a tradurlo in azioni violente. Per questo insisto sulla necessità di recuperare un modo di stare insieme, di fare comunità che si sta smarrendo. Si sta perdendo un collante che fa parte del DNA della nostra tradizione.

Quindi occorre un’azione educativo-culturale?
In quanto Croce Rossa, facciamo un discorso di recupero di valori e di principi. Il nostro emblema – la nostra missione – è di soccorso universale. Siamo riconosciuti a livello internazionale come istituzione che per definizione porta soccorso nei luoghi dei conflitti armati, teatri nei quali ambulanze, ospedali e personale sanitario devono essere protetti. Eppure il mio presidente di Napoli ha detto che questa è una situazione peggiore della guerra. Nella società si sta smarrendo il sapere del vivere civile; prima che questa perdita culturale si consolidi, occorre intervenire a partire dalla scuola dell’obbligo.

In alcuni istituti dove presidi e docenti ci hanno accolto, abbiamo avviato dei programmi attraverso incontri di formazione alle manovre salvavita. Un modo per agganciare i ragazzi, soprattutto perché li facciamo con istruttori e trainer molto giovani per instaurare un rapporto peer-to-peer; in altri teniamo incontri su temi più complessi come diritto internazionale umanitario, conflitti armati, rispetto e protezione della vita umana, ruolo della Croce rossa e dei soccorritori.
Ma occorre intercettare anche i ragazzi che a scuola non ci vanno più. E’ importante fare rete con parrocchie, associazioni, realtà del terzo settore, centri sociali. Stiamo pensando anche ad una giornata nazionale in cui scendere nelle piazze delle città con i nostri comitati locali per incontrare la gente e farci conoscere.

Questo per quanto riguarda la prevenzione. Sul fronte contrasto?
Sono d’accordo con l’installazione di videocamere a bordo delle ambulanze e bodycam sulle tute degli operatori. Sono assolutamente contrario al teaser suggerito da qualcuno. La Croce rossa non lo adotterà mai. Ben venga la rapida approvazione del provvedimento sull’inasprimento delle pene, ma ribadisco che queste costituiscono misure di contorno rispetto al nocciolo della questione che è anzitutto educativo-culturale. Abbiamo un patrimonio genetico di rispetto della vita e di chi la soccorre che va recuperato, custodito e rilanciato.

Leggi il pezzo completo su agensir.it